I maggiori centri oncologici si stanno organizzando per accogliere anche le pazienti degli altri ospedali e per capire cosa fare in caso di pazienti positive. Nessun aumento di rischio per chi assume la terapia ‘ormonale’, mentre deve stare attenta chi sta facendo o ha finito da poco la chemio. L’intervista a Lucia Del Mastro, coordinatrice della Breast Unit del San Martino di Genova.
“DOVE possibile, stiamo cercando di garantire tutte le cure. Nel caso del tumore al seno, di fare tutti gli esami necessari a chi ha un nodulo sospetto, di continuare a operare, di portare avanti le chemio e le terapie che devono essere fatte in ospedale, perché da queste dipende la guarigione o comunque una maggiore sopravvivenza”. Non nasconde la fatica Lucia Del Mastro, oncologa e coordinatrice della Breast Unit del Policlinico San Martino di Genova, che da quando è scoppiata l’emergenza Coronavirus è diventato uno dei centri oncologici “hub” della Liguria, e attualmente accoglie anche le pazienti provenienti dagli ospedali della provincia di Imperia. Anche in altre Regioni, come la Lobardia, ci si sta organizzando nello stesso modo. “Qui – racconta l’oncologa – abbiamo aumentato le sale operatorie e per ora riusciamo ad assicurare tutte le cure a chi ne ha bisogno. E’ importante che le donne per cui esiste un sospetto concreto di tumore non devono esitare a farsi controllare, mentre alle donne asintomatiche ora si consiglia di rimandare lo screening”.
Sempre dove possibile, quindi, si seguono le raccomandazioni del Ministero della Salute e delle società scientifiche: per tutti i malati onco-ematologici in trattamento attivo, bisogna evitare che questa situazione abbia un impatto negativo sulla prognosi e quindi garantire i trattamenti. Vale per gli interventi, per la terapia neoadiuvante (quella che si fa prima dell’intervento), per quella adiuvante (che si fa dopo) e per chi segue le cure per il tumore avanzato. Per gli altri in follow up si decide caso per caso, cercando di valutare se un eventuale contagio non abbia conseguenze peggiori del rinvio del controllo.
Cosa succede in caso di pazienti positive al virus
“Un problema che sta emergendo in questo momento – spiega Del Mastro – riguarda cosa fare nei pazienti contagiati. Non abbiamo elementi per decidere se sia meglio aspettare la negativizzazione del virus prima di cominciare o di riprendere le terapie, oppure se trattare lo stesso. In questo secondo caso è ovviamente fondamentale che i pazienti siano in un ambiente completamente separato e isolato. Bisogna creare centri dedicati ai pazienti oncologici Covid-19 positivi, soprattutto per garantire trattamenti con carattere di urgenza. Nel caso del tumore al seno, probabilmente è spesso possibile rimandare, ma la discussione è ancora in corso”. Per ora si naviga un po’ a vista, come ormai spesso si sente dire da quando è arrivato il virus. “Al San Martino abbiamo avuto un primo caso di paziente con tumore al seno positiva al covid-19. E’ una donna che sta facendo la chemioterapia neoadiuvante. Ha fatto il tampone e ora siamo in attesa di ripeterlo. In questo caso abbiamo deciso di aspettare che l’infezione si risolva”.
I rischi per chi sta facendo o ha finito da poco la terapia
C’è, inoltre, grande preoccupazione tra le pazienti che sono o sono state in cura, che le terapie possano aumentare il rischio di ammalarsi. “Sto ricevendo tante chiamate da pazienti ed ex pazienti preoccupate. Mi sento di rassicurare chi sta seguendo la cosiddetta terapia ‘ormonale’ domiciliare: questo tipo di farmaci non aumenta il rischio di contagiarsi o di avere complicanze, perché non rende immunodepressi. Diverso è il discorso per chi sta facendo o ha finito da poco la chemioterapia: in questo caso non sembra tanto aumentare il rischio di contagio, ma c’è una maggiore possibilità di avere delle complicanze più severe. In linea teorica, dopo quattro settimane dalla fine della chemioterapia vi è un ripristino del numero dei globuli bianchi, ma non abbiamo dati per dare tempistiche certe. Sempre sul piano teorico, i due farmaci mirati – gli anticorpi non coniugati trastuzumab e pertuzumab – più frequentemente utilizzati per il cancro al seno HER2 positivo, non dovrebbero concorrere ad aumentare questo rischio di una risposta immunitaria elevata, a differenza degli immunoterapici utilizzati ad esempio nel melanoma o nei tumori del polmone, ma siamo nel campo delle speculazioni, perché, come ho detto, non ci sono dati”.
Continuano a mancare le mascherine
Intanto si spera che mascherine adeguate e le dotazioni di protezione per permettere ai medici e al personale sanitario di lavorare nelle condizioni più sicure arrivino al più presto. “E’ un problema che non riguarda solo noi, ma tutta l’Italia – conclude Del Mastro – ma purtroppo le mascherine adeguate a proteggere il personale sanitario sono ancora carenti”.
di TIZIANA MORICONI