“La diagnosi precoce è stata la mia salvezza. Ho scoperto il tumore al seno alla prima mammografia, a 41 anni, quando non avevo alcun sintomo”
Mamma, moglie, Assessore alle Politiche Famigliari del Comune di Giavera del Montello e professionista, sconfigge il tumore al seno, prevenendolo. Francesca Varaschin è una donna impegnata e attiva che ha scelto di condividere la sua storia personale, di dolore e “rinascita”. All’età di 41 la diagnosi di tumore al seno, poi il percorso verso la guarigione, durato due anni, fino alla ricostruzione del seno e alla ripresa di una vita che lei definisce “non proprio normale come quella prima, perché questo è un cammino che lascia il segno, ma comunque una vita felice”. Un messaggio di speranza, perché, racconta Francesca, “dal tumore al seno si può guarire, anche grazie alla prevenzione”.
Come ha scoperto di avere il tumore al seno?
Ho sempre pensato che amare sé stessi comprendesse anche il prendersi cura di sé, pertanto almeno una volta all’anno ho sempre fatto analisi del sangue, visita ginecologica…oltre al prestare attenzione ad eventuali segnali che il corpo manda ogni tanto.
Non ho avuto però nessun segnale fisico della mia malattia, l’ho scoperta alla mia prima mammografia, che ho prenotato perché alla radio ne avevo sentito parlare, senza avere nessun sintomo, nessun nodulo, nessun sospetto, mi sono detta “ho 41 anni, facciamo questo controllo, non ho nulla, cosa mai potranno trovarmi” e sono andata in un centro privato, perché il Sistema Sanitario Nazionale con difficoltà fa questo tipo di esami fuori dalla fascia d’età inclusa dallo screening se non si hanno sospetti, questo è stato l’investimento più importante della mia vita.
La scoperta poi della patologia, a seguito di microcalcificazioni evidenziate nel seno sinistro, è stata una doccia fredda, avevo appena una prima di seno, quindi ero convinta di avere anche poche probabilità di avere qualcosa, invece, dopo la biopsia chirurgica e la mastectomia, ho scoperto di avere quattro tipi di carcinoma diversi, alcuni infiltranti: arrivare alla diagnosi in fase precoce è stata la mia salvezza.
Quale messaggio vuole diffondere alla comunità? Quanto conta la prevenzione anche per le donne giovani?
La prevenzione nelle giovani donne, dai 30 anni in poi,è assolutamente fondamentale, l’età media di insorgenza della malattia si abbassa sempre di più, senza voler entrare nel merito delle cause, quando posso parlo sempre di prevenzione, non per parlare della mia storia, perché ognuno ha la propria e la vive in modo diverso, ma per testimoniare cosa voglia veramente dire prevenire.
Prevenire non è solo lo spartiacque spesso tra la vita e la morte, ma è anche la variabile fondamentale che determina il percorso di cura. Nessun percorso di cura è facile: la mia terapia ormonale per prevenire recidive che dovrebbe durare per altri 2 anni non sempre è una passeggiata, ma la radioterapia o la chemioterapia sarebbero state molto più invasive e difficili da accettare.
Anche in questo caso, l’essere arrivata presto alla scoperta, ha evitato ad esempio il percorso chemioterapico, situazione che avrei fatto più fatica ad accettare.
Lei paragona il suo percorso al Cammino di Santiago. Perché? Chi l’ha aiutata in modo particolare a vincere la malattia?
Il paragone nasce dalla condivisione di questo pellegrinaggio a Santiago de Compostela che proprio in quel periodo mio marito ha fatto, condividendone, anche se da casa, le salite dei Pirenei, le tappe nei vari luoghi, i paesaggi, la fatica, la felicità alla vista della cattedrale.
È stato lui mia forza (assieme ai miei figli), il mio sostegno ad ogni controllo per determinare la stadiazione della malattia, che era per me una tappa del mio cammino verso la guarigione. Il giorno della mastectomia, al mio risveglio, ero giunta alla mia “Santiago”, una prima conclusione della paura, dell’angoscia, del pianto che avevano caratterizzato le settimane prima dell’intervento.
Oltre a mio marito, il più importante compagno di viaggio è stato il dottor Rizzetto della Chirurgia Senologica dell’ospedale Ca’ Foncello di Treviso, che con me ha condiviso questa esperienza difficile, mi fidata e affidata a lui e a tutta l’equipe del primario dr. Burelli, ogni cosa è andata come mi avevano detto, sempre con competenza e senza illudermi mai di nulla, spiegando tutto ciò che doveva avvenire e che poi è puntualmente avvenuto.
Potrei dire che le persone più importanti nel mio cammino sono state mio marito ed il dr. Rizzetto, oltre ai medici che mi hanno seguita nel mio percorso, mi perdoneranno se a queste aggiungo per la prima volta anche me stessa.
Forse sono riuscita ad affrontare tutto questo turbinio di emozioni, molto spesso contrastanti, perché ho trovato dentro di me la voglia di combattere. Se non avessi trovato in me quest’energia positiva, di certo la mia vita avrebbe preso una piega totalmente diversa, soprattutto dal punto di vista emotivo.
Fisicamente mi sento diversa, soprattutto dopo l’intervento di ricostruzione, ma ciò che mi importava era non diventare una persona diversa interiormente, e qui è la testa a fare la differenza.
Quanto conta l’aspetto psicologico nell’affrontare il percorso di cura?
Quando sono entrata in sala operatoria per la mastectomia e sono rimasta in attesa nel lettino operatorio per tre interminabili quarti d’ora, ho pensato almeno cento volte di alzarmi ed andare via, ma sono rimasta perché mi sono detta che tante persone non riescono nemmeno ad arrivare lì dove ero io, perché la malattia non consente loro nemmeno di intervenire.
Ho sempre voluto guardare ciò che di positivo potevo vedere, affrontare tutto quello che stavo affrontando è complicato, ho voluto rendermi un po’ più semplice (ma non facile) quella salita che pareva non finire mai cercando sempre di vedere il lato positivo.
Da donna che ha combattuto e sconfitto il tumore al seno, cosa vuole dire alle donne che si trovano ancora a combattere contro questo male del secolo?
Quando si vive un percorso di malattia come quello che ho vissuto io, nonostante si sia attorniati da persone che ci vogliono bene e che cercano di darci sostegno, qualsiasi parola, anche di conforto, non colma mai la solitudine che si prova nel buio del percorso che si deve affrontare.
Mi sento quindi solo di dire alle donne che ora devono affrontare questa lunga e faticosa salita, che hanno tutto il diritto di essere arrabbiate, stanche, di sentirsi impotenti e di chiedersi “perché proprio a me” e, quando ne sentono il bisogno, anche di piangere.
Nel vostro Comune avete ospitato la clinica di WelfareCare per l’iniziativa “Mammografia ed Ecografia Gratuita”. Com’è andata?
Molto bene, abbiamo avuto un riscontro importante in pochissimo tempo, come Amministrazione vogliamo ringraziare le aziende locali che hanno contribuito a questo evento, sono anni che promuoviamo la prevenzione, non solo durante il mese “rosa” ma in generale, per il benessere e la salute della comunità.
Sono orgogliosa di avere dei colleghi che condividono questa mission e ringrazio anche loro per il sostegno in questo percorso, che riguarda non solo me ma molte altre donne.
Autore dell’articolo: Maria Chiara Pellizzari
Intervistato: Francesca Varaschin, Assessore alle Politiche Famigliari del Comune di Giavera del Montello